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Legge, IA e marketing: l’intelligenza artificiale è entrata a gamba tesa nel nostro lavoro, anche in quello dei professionisti del marketing e della comunicazione. Copy, art, strategist, digital manager: siamo tutti coinvolti. E da adesso, anche (più) regolamentati.
Il Senato ha infatti approvato il Disegno di Legge A.S. 1146 sull’Intelligenza Artificiale, una norma che – senza troppi giri di parole – mette nero su bianco che l’AI può essere usata, sì… ma solo come supporto. Ne ha analizzato il profilo legale l’Avvocato Francesca Zambonin, lo trovate all’articolo ‘I limiti all’uso dell’Intelligenza Artificiale nelle professioni’.
Vediamo insieme cosa dice il testo, cosa significa per chi lavora nel marketing e nella comunicazione e, soprattutto, come affrontare il cambiamento con intelligenza (umana).
AI sì, ma con cervello
Il DDL stabilisce un principio molto chiaro: l’intelligenza artificiale può essere utilizzata nelle professioni intellettuali solo per attività strumentali e di supporto, e non può sostituire il contributo intellettuale umano.
Testualmente:
“L’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale nelle professioni intellettuali è finalizzato al solo esercizio delle attività strumentali e di supporto all’attività professionale e con prevalenza del lavoro intellettuale oggetto della prestazione d’opera” (Art. 4, comma 2).
Tradotto nel nostro linguaggio: puoi usare ChatGPT per buttare giù una bozza, creare varianti di headline, farti ispirare da una struttura narrativa. Puoi usare Midjourney per una moodboard, una reference veloce o uno studio visivo. Ma il cuore creativo e strategico del lavoro deve essere tuo. Al di là del fatto che in ogni caso già la nostra creatività doveva entrare in azione anche nella scrittura del prompt, non è una questione solo di copyright, ma di identità professionale. E ora anche di legge.

Chi fa cosa? Serve chiarezza con il cliente
C’è un altro punto che ci riguarda da vicino: l’obbligo di informazione trasparente verso il cliente sull’uso dell’AI.
Il DDL lo dice chiaramente:
“Le informazioni relative ai sistemi di intelligenza artificiale utilizzati dal professionista sono comunicate al soggetto destinatario della prestazione intellettuale con linguaggio chiaro, semplice ed esaustivo” (Art. 4, comma 3).
Significa che se, ad esempio, nel tuo piano editoriale inserisci visual generati con AI, oppure testi affinati con uno strumento automatizzato, devi dichiararlo. Non in legalese, ma in modo chiaro e comprensibile. Come? Un paragrafo in più nel contratto, una nota nel progetto, o un disclaimer nel deliverable. Non basta più “lo usano tutti, tanto chi lo sa”: la trasparenza è (anche) una tutela professionale.
La differenza non la fa l’AI, ma come la usi
La nuova legge non demonizza l’intelligenza artificiale. Anzi, la legittima. Ma pone dei limiti per proteggerci. E dico “proteggerci” non a caso.
In un mondo in cui tutto è automatizzabile, il vero valore distintivo tornerà a essere la testa. Quella che collega dati e intuizioni. Quella che sa leggere tra le righe di un brief e non solo analizzare keyword. Quella che capisce che una campagna è più di una somma di strumenti.
Chi lavora nella comunicazione dovrà ripensare il proprio approccio, un po’ come quando arrivarono i social: non possiamo ignorare il cambiamento, ma possiamo guidarlo. L’AI può aiutarti a produrre più velocemente, ma non a pensare meglio. Per quello ci sei ancora tu. Ed è un bene che sia così.

E ora? 3 cose concrete da fare
- Chiarire nei contratti l’eventuale uso dell’AI (per etica, per legge e per fiducia).
- Rivedere i processi interni: dove si può usare l’AI senza compromettere la qualità?
- Investire in formazione umana, quella che l’AI non potrà replicare: strategia, empatia, senso critico.
Il DDL sull’intelligenza artificiale è un segnale forte
Possiamo vedere questo DDL come un altro freno burocratico o come una cornice entro cui giocare la partita. Comunque la si voglia vedere, per i professionisti, il messaggio è chiaro: l’AI è una risorsa, ma non deve toglierti l’identità.
Alla fine, il vero limite non è tecnologico, è culturale. E come sempre, la differenza la farà chi ha testa. Ancora umana.